In piena pandemia tutti ci siamo chiesti come ne saremmo usciti, e molti affermavano che ne saremmo usciti migliori. Oggi che incominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel, passata la grande paura, rinfrancati da strumenti sanitari di protezione (il vaccino, ma speriamo anche altro, come nuove terapie), il rischio è di restare quelli che siamo sempre stati: cioè bravi nell’emergenza ma deficitari nell’impegno a lunga durata, nell’assunzione di responsabilità anche individuali (vedi no vax), nella coscienza civica e sociale.
I segnali ci sono, purtroppo, tanto che lo stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi, parlando all’assemblea generale di Confindustria della realizzazione del Pnrr, ha affermato la necessità di un “patto economico, produttivo e sociale” a beneficio delle prossime generazioni, per “assicurarsi che il denaro per gli investimenti sia speso bene, come strumento di una prospettiva di sviluppo”. In tal senso richiamando tutti – mondo produttivo, politica e forze sociali – a non lasciarsi andare a interessi di parte o di categoria e a lavorare per il bene comune. Non ha specificato cosa debba contenere questo “patto sociale”, che noi crediamo debba essere strumento di progettazione politica e di buona amministrazione in tutto il Paese. Noi pensiamo che questo patto sociale debba avere come priorità il lavoro, quel lavoro che è sparito dai radar del dibattito politico, e ahimé sparito anche dalle prospettive personali di tanti cittadini, soprattutto giovani. Siamo convinti che lo strumento principale di rinascita personale e collettiva sia il lavoro, inteso non solo come mezzo di sostentamento ma anche come strumento di autorealizzazione, di espressione di abilità e competenze. Il lavoro giustamente retribuito, il lavoro sicuro (non si può morire sul lavoro!), il lavoro che può veramente contrastare la povertà. Crediamo sia necessario recuperare il “valore” del lavoro, per tornare a credere in noi stessi e per ridare fiducia al Paese intero.